Il D. Lgs. n. 231/2001, all’art. 9 comma 2, elenca le sanzioni interdittive, ossia:

  1. l’interdizione dall’esercizio dell’attività;
  2. la sospensione o la revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell’illecito;
  3. il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio;
  4. l’esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l’eventuale revoca di quelli già concessi;
  5. il divieto di pubblicizzare beni o servizi.

Tali sanzioni hanno una durata limitata nel tempo (non inferiore a 3 mesi e non superiore a 2 anni) e possono essere applicate in via definitiva solo nei casi in cui:

  1. Può essere disposta l’interdizione definitiva dall’esercizio dell’attività se l’ente ha tratto dal reato un profitto di rilevante entità ed è già stato condannato, almeno tre volte negli ultimi sette anni, alla interdizione temporanea dall’esercizio dell’attività. 
  2. Il giudice può applicare all’ente, in via definitiva, la sanzione del divieto di contrattare con la pubblica amministrazione ovvero del divieto di pubblicizzare beni o servizi quando è già stato condannato alla stessa sanzione almeno tre volte negli ultimi sette anni. 
  3. Se l’ente o una sua unità organizzativa viene stabilmente utilizzato allo scopo unico o prevalente di consentire o agevolare la commissione di reati in relazione ai quali è prevista la sua responsabilità è sempre disposta l’interdizione definitiva dall’esercizio dell’attività e non si applicano le disposizioni previste dall’articolo 17. 

Proprio sulla corretta applicazione delle condizioni previste dal D.Lgs. 231/2001, per poter infliggere in via anticipata misure a carico della società per reati commessi dai dipendenti nel suo interesse o vantaggio, è intervenuta la Corte di Cassazione con la sentenza n. 38115/2019.

La Corte, infatti, ha accolto il ricorso presentato dalla difesa di una società in nome collettivo, operante nel settore della sanità, punita con una sanzione interdittiva in quanto aveva – a detta dei Giudici di merito – tratto un vantaggio da una serie di falsi e truffe commessi ai danni di una Asl attraverso la vendita e la riparazione di protesi acustiche, i cui costi venivano messi a carico del Servizio Sanitario Nazionale.

La Corte di Cassazione, nell’accogliere le motivazioni depositate dalla difesa della società, ha ritenuto che la misura interdittiva, accompagnata dalla sanzione pecuniaria, fosse stata applicata non rispettando le condizioni poste dallo stesso Decreto 231 e, pertanto, ha dichiarato l’applicazione della stessa illegittima.